12 Il politico delinquente

Più di un secolo fa il Lombroso pubblicava un libro dal titolo 'L'uomo delinquente' in cui sosteneva che la delinquenza era una regressione alla mentalità e al comportamento dell'uomo primitivo, e che tale regressione era determinata dalla conformazione somatica dell'individuo affetto. Si attribuisce al Lombroso la concezione dell'ereditarietà del comportamento delinquenziale, ma così non può essere visto che l'opera di Darwin e quella di Mendel sono posteriori alla concezione Lombrosiana, e che comunque Lombroso non ne ha tenuto conto. (25) Pur tuttavia è assai probabile che Lombroso avrebbe sostenuto il principio della delinquenza come tara ereditaria, congenita quindi, se fosse stato a conoscenza dei principi della ereditarietà così come vennero sviluppandosi più tardi.
Il comportamento individuale è dovuto in parte alla costituzione individuale e in parte all'ambiente, ma il dibattito scientifico è stato ben lontano, ed è lontano tuttora, dall'accettare una simile banalità. Così si è ferocemente discusso se un particolare comportamento era precipuamente di origine congenita o frutto dell'ambiente, dell'educazione insomma.
Parimenti è forse interessante discutere se la particolare predisposizione a delinquere che ha caratterizzato l'insieme della maggioranza degli uomini politici italiani sia prevalentemente un fenomeno determinato dall'ambiente culturale o ci sia anche una componente congenita. Io penso che l'educazione e l'ambiente culturale abbiano fatto acquisire dei caratteri delinquenziali alla maggioranza degli uomini politici italiani, e credo che l'ereditarietà genetica in senso stretto abbia giocato poco o nulla. C'è però una possibile utilizzazione dei principi Lombrosiani nel senso che sembra effettivamente essersi verificata nella politica una regressione atavica alla mentalità e ai comportamenti tipici della società primitiva, della società tribale. Molti degli uomini politici coinvolti in attività di delinquenza di stato e di partito sono individui integerrimi sul piano personale e familiare, ma hanno adottato nei rapporti sociali quella doppia morale che è così caratteristica degli animali selvaggi e della società tribale, per la quali esiste appunto una morale che si applica ai membri del proprio branco, della propria tribù, ed un'altra morale per il resto degli esseri viventi.

La doppia morale, talvolta la tripla morale, è stata più o meno consciamente adottata come giustificazione etica del comportamento politico. La doppia morale è un concetto ben presente nella memoria del nostro computer corticale, ha profonde radici culturali e tradizionali, ed è probabile che abbia anche una radice biologica, cioè che sia presente in qualche forma nei meccanismi comportamentali innati. Un leone non si sognerebbe mai di aggredire e sbranare un altro leone per soddisfare la propria fame. Malgrado che tra gli animali e le piante non esista nessun principio etico, nessun valore morale, tuttavia si può concepire il meccanismo biologico che impedisce al leone di aggredire un cospecifico come una determinante comportamentale che, per motivazioni proprie allo sviluppo della specie, impone all'animale di non fare ai suoi simili cospecifici ciò che egli non vorrebbe venisse fatto a lui. Animali di altre specie non rientrano in questi meccanismi inibitori dell'aggressività, o forse solo animali di specie diverse stimolano l'aggressività: in particolare la gazzella non è vista dal leone come un essere vivente a lui analogo, ma semplicemente come una cena appetitosa. Cosa sia rimasto di questo meccanismo biologico come determinante comportamentale umana è difficile dire, tuttavia è suggestivo il fatto che nelle tribù primitive le caratteristiche di essere umano sono disconosciute agli estranei alla tribù. Questo disconoscimento è appunto la base della doppia morale per la quale per un cannibale sarebbe inconcepibile, abominevole e raccapricciante assassinare e divorare un membro della propria tribù, mentre è azione valorosa e degna uccidere e mangiare un membro della tribù nemica. Uccidere, rubare, sopraffare i propri simili, sono azioni condannate dalla legge tribale quando rivolte all'interno della tribù, ma del tutto indifferenti se non addirittura stimate quando rivolte all'esterno.
Esiste poi una doppia morale sessuale, che pure probabilmente ha una qualche base biologica sotto forma di meccanismi comportamentali innati, ma che principalmente si è sviluppata e rinforzata sul piano culturale e sociale dando vita a una tradizione che è poi stata spacciata per legge di natura. E' bene ricordare che fino a venti anni orsono la doppia morale sessuale era sancita anche dal codice penale italiano che trattava in maniera differente l'infedeltà coniugale maschile e femminile. Ma a parte l'infedeltà matrimoniale, che tuttora in buona parte del mondo è giudicata in maniera differente a seconda del sesso coinvolto, la doppia morale si estrinseca in tutte le relazioni sociali. Nelle lettere di Paolo esistono specifiche prescrizioni per il comportamento delle donne nel culto che, sebbene probabilmente aggiunte in epoca più tarda per contrastare le posizioni degli gnostici che tendevano a equiparare i sessi, riflettono quella morale imperante e comunque vincente nei secoli a venire, nella Grande Chiesa e altrove.
Ma la forma più comune di doppia morale, quella naturalmente accettata da tutti, riguarda il comportamento dei figli e dei minori in generale. Ciò che è bene o ciò che è male, per i figli o per i minori in genere, è stabilito su una base etica differente che per gli individui adulti; così in ciascuno di noi è inculcato che, in determinate circostanze, esiste una disuguaglianza di trattamento, una eccezione al giudizio morale, in questo caso basata sull'età, per cui la stessa azione viene giudicata moralmente con un metro differente.
Tutte queste forme di doppia morale permangono nel nostro inconscio, personale o collettivo che sia, o comunque permangono nelle nostre tradizioni e influenzano la nostra cultura: non farà meraviglia che possano influenzare i nostri comportamenti. Ma esiste una forma ben più socialmente rilevante di doppia morale che ha una indubbia origine storica dalla doppia morale tribale, cioè il diverso trattamento davanti alla legge dei sopravvissuti della tribù perdente, della nazione perdente. Per esempio dopo la caduta dell'Impero Romano gran parte dei suoi territori è stata invasa da tribù subentranti, ognuna guidata dai suoi capi. Costoro si sono istallati nei territori dell'impero, qualcuno avrà preso in sposa qualche figlia della nobiltà romana, dando origine alla classe dei signori feudali. Per i signori feudali, e i loro vassalli, esisteva una legge morale ben diversa nei rapporti tra di loro e nei rapporti con i servi della gleba. I vincitori e i vinti sono appunto caratterizzati dalla loro diversità davanti alla legge e altrove, ed il perdurare di questa diversa collocazione morale e giuridica ha caratterizzato la storia europea per svariati secoli, ed è stata posta in dubbio solo a partire dal Rinascimento, per essere poi denunciata come iniqua due o tre secoli orsono. Ma il principio, la decisione etica di attuare un programma politico per l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge e altrove, è esattamente diretto contro l'esistenza di una doppia morale sociale quale si è consolidata nei secoli feudali, nella storia delle guerre e nelle leggi dei vincitori.
Tutto ciò è ben lontano dall'essere universalmente accettato. La seconda guerra mondiale è stata condotta sul principio che sono i più forti a decidere che cosa è bene e che cosa è male per i più deboli, e in tutti i presenti conflitti e guerre viene dato per scontato che coloro che appartengono a una etnia differente, a una nazione differente, hanno una differente collocazione morale. Questa doppia morale non è causata dalla guerra, è anzi la guerra che è causata dalla doppia morale.

Insomma la doppia morale, biologica, culturale, tradizionale, storica, sociale che sia, è inestricabile dal nostro modo di pensare e di agire, nel senso che fa parte del paesaggio in cui noi ci muoviamo, ed è facilissimo considerarla come normale. Tale appare essere stata considerata, anche con l'autorevole ausilio intellettuale del Machiavelli, dalla stragrande maggioranza degli uomini politici italiani tra il 1946 e il 1992. Imporre una tangente, estorcere denaro abusando della propria carica pubblica, e cose analoghe, sono considerati crimini se effettuati per arricchimento personale, sono stati considerati atti necessari e dovuti se fatti per finanziare la propria parte politica. Nei partiti è esistito un codice rigidissimo al riguardo: chi poteva doveva procurare finanziamenti al partito, chi si appropriava anche in minima parte di tali finanziamenti era un ladro. Conseguentemente chi era sorpreso a rubare per se era abbandonato al normale corso della giustizia, chi era sorpreso a procurare illegalmente denaro per il partito era difeso fino all'ultimo sangue.

La doppia morale che ha ispirato il comportamento degli uomini politici è inestricabilmente legata alla concezione della politica come lotta ideologica, lotta per il potere. Solo un grande progetto sociale, avente come fine il bene universale, la nobiltà della politica intesa come il battersi per le cause nobili incarnate nella propria fazione, solo queste cose possono giustificare quella che tutti sanno essere una infrazione della legge morale e sociale. Nulla di più stupido e superficiale che l'affermare che i politici italiani erano tutti ladri, anzi è il loro impegno ideale che li ha fatti consapevolmente delinquere convinti come erano di agire per il supremo bene della nazione, convinti come erano di avere elaborato il progetto politico e sociale più adatto alla società italiana.
La debolezza logica di questa situazione, caratterizzata dalla contemporanea esistenza di nobili progetti assolutamente contrastanti, non sembra essere stata afferrata. Appare oggi invece, ma a qualcuno era apparso fin da molti anni fa, come gli effetti sociali e politici della doppia morale applicata al fine del prevalere della propria parte politica, siano stati devastanti indipendentemente dal fatto che tali effetti non erano voluti da nessuno. La corruzione politica indotta dalla prassi della doppia morale è andata rafforzandosi, in maniera grottesca, rafforzando le basi etiche del comportamento delinquenziale: dopo di tutto il singolo individuo che ha il progetto di realizzare se stesso raggiungendo il successo e il potere può trovare modo di giustificare la propria immoralità sulla base di una supposta superiorità personale, di qualsiasi natura, rispetto al resto dei componenti la società. Se gli uomini politici delinquenti per la causa hanno Machiavelli a confortarli, i delinquenti per causa personale potranno bene avere Calvino. Machiavelli e Calvino come vernice intellettuale del relativismo etico della politica e del modo di affrontare la vita.

L'indotto della prassi politica per cui finanziare il proprio partito in modo illegale era parte integrante della lotta ideologica ha avuto capillari ramificazioni in tutto il cosiddetto tessuto sociale. La doppia morale si è manifestata in tutti i campi: mentre ogni normale persona ritiene che favorire slealmente un concorrente, un competitore in qualsivoglia attività, sia una cosa moralmente riprovevole, se tale concorrente, tale competitore, poteva essere di una anche minima utilità alla forza politica e alla presenza sociale di un partito, allora la pratica del favoritismo sleale è stata praticata come una specie di dovere intellettuale. Gli effetti disastrosi sulla società, causati dalla selezione avulsa dai meriti professionali, sono consistiti e consistono nella presenza di incompetenti nelle più svariate funzioni. Magistrati, professori universitari, primari ospedalieri, prefetti, giornalisti, managers delle imprese di stato e degli enti pubblici, persino artisti, per citare solo alcune delle categorie coinvolte, sono stati scelti per la loro vera o simulata fedeltà intellettuale alla causa, e tutti costoro rimarranno dove sono per i prossimi venti o trenta anni continuando a caratterizzare colla loro mediocrità, presupposto indispensabile di una carriera professionale che sfugge a una valutazione professionale, i loro rispettivi campi di azione. Così per un supremo bene nel lontano futuro, il grande e nobile progetto politico, si è causato un grande male presente e nell'immediato futuro, e senza possibile rimedio se non attraverso odiose e penose epurazioni, peraltro del tutto impraticabili. E naturalmente gli imprenditori grandi e piccoli che si sono prestati, per un reciproco interesse, al finanziamento occulto dei partiti nel nome di un supposto interesse politico generale, o più semplicemente per essere esentati dalle regole di mercato, si sono sentiti ancor più legittimati ad evadere il fisco, ritenendo in buona o cattiva fede, di avere già fatto la loro parte, di 'avere già dato'.

Il quadro di illegalità di massa, coperto non da un velo ma da uno spesso e impenetrabile strato di cemento armato di ipocrisia, non poteva che risultare nella pressoché sistematica violazione del codice penale, del codice civile, e della stessa costituzione. Ne poteva essere altrimenti, visto che la doppia morale, quando cancellata e condannata dalle leggi, non può che essere illegale e fonte di illegalità. Questo stato di cose non è stato determinato, ovviamente, solo da una scelta etica; piuttosto è vero che una pseudo-etica è stata costruita intellettualmente per giustificare scelte moralmente riprovevoli, ritenute necessarie da un impegno politico totalizzante, olistico, e tragicamente sempre più staccato dalla realtà.
La storia della costituzione della nazione italiana, come le cose si sono svolte in Italia dalla caduta dell'impero romano fino alla proclamazione dello stato nel 1861, l'abitudine secolare quindi da parte dei cittadini di vedere nello stato un potere straniero di occupazione, situazione non affatto risolta per la maggioranza del popolo italiano ne dallo stato sabaudo, ne dallo stato fascista, è stata sottilmente e vilmente utilizzata, se non dai grandi leader politici, certamente dai loro vassalli e valvassori. Non è colpa del popolo italiano, ne di presunti rigurgiti di 'qualunquismo fascistoide' , se la stragrande maggioranza dei cittadini ha la sensazione di essere governata da uno stato straniero, che detiene il potere illegalmente, e perdi più è corrotto. Ma l'abilità della classe politica è stata quella di ottenere il consenso elettorale coinvolgendo la stragrande maggioranza degli elettori in una lotta ideologica, e in questo senso tutti sono stati moralmente responsabili, eletti ed elettori. Quei pochi che si rendevano conto dell'assurdità e dell'arretratezza del 'quadro politico' italiano, o sono stati incapaci, o semplicemente sono stati occultati dalla loro stessa estraneità alla lotta ideologica. Infatti è esistito fin dall'inizio una specie di cavalleresco rispetto per tutte le controparti ideologiche presenti nell'agone della politica, unito a una sorta di commiserazione se non disprezzo per chi lottava senza una bandiera, comunque una esigua minoranza. Questa sorta di mutuo rispetto, poi sfociato in mutua connivenza delinquenziale, è assimilabile per comprenderci ai partecipanti alle discussioni sul calcio nei bar di periferia, ognuno per la sua squadra ma tutti uniti per la passione dello spettacolo allo stadio. Chi non era tifoso, una esigua minoranza, non aveva nulla di interessante da dire. Su questa specie di consorteria della politica progettuale si basa il rifiuto dei maggiori responsabili di essere chiamati a pagare per tutti. Se tutti i partiti, tutti gli uomini politici erano delinquenti, il delinquere è stato compiuto nel nome e col consenso della stragrande maggioranza del sistema politico: l'intero sistema politico è stato una associazione per delinquere.
Era possibile che le cose si svolgessero diversamente? Il periodo storico e la situazione politica internazionale, l'ambiente culturale, e quant'altro, potevano plasmare un uomo politico in cui 'il senso dello stato' , la consapevolezza di avere responsabilità collettive e quindi valenza etica nel suo agire, fossero prevalenti rispetto allo spirito di parte? O forse questo periodo era inevitabile per la nostra società così come sono inevitabili gli errori di apprendimento per l'individuo? Di ogni esperienza è opportuno far tesoro, dice il proverbio. Ma il rifiuto di questa politica è stato spacciato, dagli epigoni della partitocrazia, come 'rifiuto della politica' e quindi di qualunquismo. Si intende dire che non esistevano alternative. Immagino che i tardi esegeti di questo periodo lo racconteranno come un fenomeno ineluttabile, un fenomeno di crescita. Bisognava pur far politica, e i partiti non potevano vivere di aria. Bisognava quindi che il politico diventasse un delinquente per permettere la crescita democratica della nazione, della società intera. E, aggiungeranno costoro, la storia non si fa con i se.
Alcuni proponenti del condono, o del perdono, per i terroristi che hanno insanguinato l'Italia nell'ultimo ventennio, hanno suggerito che tale condono venga comminato in virtù dell'alto fine sociale che i terroristi stessi si proponevano. Volevano una società più giusta. E' immaginabile che il politico delinquente venga esentato da un analogo condono? O si vorrà applicare di nuovo una doppia morale, per cui chi ha ucciso per un grande ideale, sarà perdonato, e chi invece ha rubato, non verrà perdonato?
 
 
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