18 Post Scriptum

Una discrepanza di versioni

Le fonti sugli avvenimenti intorno alla nascita del cristianesimo sono, per la parte greco-romana, Svetonio, Tacito, e Cassio Dione; per la parte giudaica Giuseppe, poi detto Flavio, e Filone di Alessandria (Philo Judaeus). Ci sono discrepanze temporali, logiche, e sostanziali tra questi autori.

C’è una discrepanza nel racconto di come finì la storia della statua che Caligola voleva fosse eretta nel tempio di Gerusalemme, una discrepanza tra la versione di Filone di Alessandria e quella di Giuseppe Flavio. Secondo Filone, che fu membro di una delegazione ebrea recatasi a Roma per incontrare l’imperatore, alla fine Caligola si lasciò convincere (da Agrippa) e scrisse a Petronio, il governatore della Siria da cui dipendeva la Palestina, di desistere dalla cosa. Secondo Giuseppe invece Caligola scrisse a Petronio di attuare immediatamente il progetto e di uccidere chiunque si opponesse, ma questo messaggio giunse in ritardo rispetto alle notizie della rivolta di palazzo, dell’uccisione di Caligola e dell’assunzione all’impero di Claudio. Tacito si attiene a questa seconda versione.

Rimane quindi l’interrogativo se Caligola desistette o insistette nel voler fare erigere una statua a se stesso equiparato a Giove nel tempio di Gerusalemme. Gli avvenimenti si svolgono intorno all’anno 40, tre anni prima Caligola è succeduto a Tiberio, ha tolto di galera Agrippa, nipote o pronipote di Erode il grande, e gli ha conferito il potere regale sulla parte nord della Palestina, cioè la Traconitide e la Galilea, mentre Giudea e Samaria rimangono province romane, ma senza la presenza dei prefetto. Proprio nel 37 Ponzio Pilato viene rimosso, da Vitellio governatore di Siria e Palestina, a causa dei suoi eccessi, condanne a morte o persecuzione o corruzione o quant’altro. Oppure semplicemente perché Tiberio è morto e la squadra viene cambiata da Caligola, che ordina a Vitellio di rimandare a casa Pilato, contestualmente alla parziale restaurazione dell’indipendenza di una parte della Palestina. Non risulta che venga nominato un nuovo prefetto per la Giudea e Samaria: il prossimo sarà Cuspio Fado, nel 44, dopo la morte di Agrippa, quando nuovamente la Palestina ridiventa provincia Romana.

Le date sono di una qual certa importanza per stabilire su base logica la probabile verità di un avvenimento, o la improbabilità dello stesso, nel suo riferimento temporale. Malgrado che errori di un anno o due o tre debbano essere presunti, cio’ non altera l’analisi logica: se si dice che Gesù è nato durante il censimento, poi è inutile inventarne un altro per giustificare irreconciliabili discrepanze di date.

Filone Giudeo, dottore della legge, rabbino, senz’altro prolifico scrittore di commenti delle sacre scritture di cui dava una interpretazione allegorica. Si dice o si pensa che venisse da una famiglia assai benestante e influente, nato ad Alessandria si presume tra il 10 e il 20 a.C., morto si suppone tra il 44 e il 50 d.C. Un fratello di Filone, tale Alessandro, abiurò alla religione ebraica e assunse, si suppone, la cittadinanza romana e importanti cariche amministrative nel governo delle provincia d’Egitto. Il figlio di costui, Tiberio Giulio Alessandro, cittadino romano, svolse un ruolo primario in Palestina, in Siria, in Egitto, e nell’ascesa al potere di Vespasiano. Questo ebreo Alessandrino apparteneva quindi a una famiglia che aveva ottimi e forti legami col potere Romano da un lato e con la dinastia regnante su Israele dall’altro. A loro volta la famiglia regnante, e gli Erodiani in genere, hanno ottimi rapporti con il potere Romano.

La situazione amministrativa, e quindi tributaria, della Palestina si può senza dubbio definire molto fluida negli ultimi decenni della sua esistenza, così come la situazione politica. Dopo la morte di Erode il grande (4a.C.), re della Palestina in toto, e a partire dalla destituzione del suo successore Archelao (6d.C.), gran parte della Palestina con Gerusalemme è ridotta a provincia sottoposta al governatore di Siria e amministrata da un suo proprio prefetto. Questo fino al 37 (Pilato è prefetto dal 26 al 37, e la crocefissione deve collocarsi in questo periodo, più verso il 37 che verso il 26). Come detto sopra dal 37 al 44 la Palestina ridiventa autonoma, Marco Giulio Agrippa (Agrippa I) ne è re, anche se non totalmente fino al 40.

Dopo la morte di Agrippa nel 44 la Palestina ridiventa provincia e tale rimane. Infatti la liste dei prefetti è ininterrotta, e il figlio di Agrippa (Agrippa II) non avrà mai poteri, anche se gli viene riconosciuto un certo status.

La rivolta del 66, la distruzione di Gerusalemme nel 70, la nuova rivolta del 132—135 conclusasi con una ulteriore distruzione di Gerusalemme, e la costruzione sulle rovine della città Elia Capitolina, sono le tappe di una lunga agonia dell’indipendenza religiosa, politica e territoriale dei Giudei. E’ da tenere presente anzitutto che la diaspora non avviene dopo il 70, ma probabilmente dopo il 135, alla fine della seconda rivolta. O quantomeno, accettando che la diaspora inizi nel 70, erano rimasti ebrei in numero sufficente da essere in grado di organizzare una rivolta che dura 3 anni e provoca una ulteriore distruzione di Gerusalemme 65 anni dopo la precedente. Sopravviveranno alle eliminazione delle componenti culturali del giudaismo solo il rabbinismo della mishnah (farisaico) e il cristianesimo paolino. Per il Giiudaismo la scomparsa delle altre correnti deve essere avvenuta dopo il 135 (Giuseppe Flavio scrive "Le Antichita’ Giudaiche" intorno al 90 e ne parla al presente).

Comunque sia, larga parte delle filosofie di questi due movimenti, la mishnah farisaica e il cristianesimo paolino, risentono, in modo diverso, sia del senso di perdita sia, paradossalmente, del senso di liberazione da una cultura e una prassi religiosa che doveva essere avvertita come ossessiva, opprimente, chiusa nelle sua xenofobia. E’ noto come il nodo centrale del distacco paolino verta intorno alla questione se i gentili (i non ebrei) possano essere proseliti, convertiti alla nuova fede. Puo’ darsi che le cose non siano andate esattamente cosi’, ma un vangelo gnostico del gruupo ritrovato nell’alto egitto, scritto presumibilmente nel secondo secolo, dice :"il figlio di un ebreo e’ ebreo ma il figlio di un proselita non e‘ proselita". Testimonianza di un dibattito, dove ebreo probabilmente significa seguace di cristo, e proselita seguace di cristo ma non ebreo.

Ma cio’ che è sorprendente, e drammaticamente sorprendente, e tragicamente sorprendente, e’ che il messaggio di tolleranza di Paolo diventi poi furiosa e odiosa intolleranza. In questo caso non sono i tempi nè le versioni a essere discrepanti, sono i fatti nella loro non corrispondenza agli asserti. Per questo non si può non sospettare che ci sia molto di falso nel come i fatti ci sono stati raccontati, particolarmente nei vangeli e negli atti.

Dicevamo di Filone, che nella relazione della ambasciata a Caligola, di cui lui fece parte, ci dà le notizie di cui sopra. La relazione e’ di una straordinaria vividezza, particolarmente nella descrizione dell’incontro con Caligola, avvenuta presumo nella villa di Tiberio a Tivoli. L’ambasciata a Caligola riguardava la grave situazione dei Giudei di Alessandria che dopo la morte di Tiberio erano sottoposti a angherie e soprusi da parte dei locali egiziani. Ma mentre la delegazione si trovava a Roma si verifica la situazione creata dalla decisione di Caligola di far porre la propria statua nel tempio. A quanto si desume de una frase di Filone la decisione di Caligola sul problema Alessandrino fu avversa ai giudei. La relazione è purtroppo incompleta, comunque è chiaro che i giudei di Alessandria non avevano particolare motivo di essere favorevoli ai Romani. Tuttavia, come detto, un fratello di Filone abiura la religione ebraica e si converte a quella ellenica e romana. Un figlio di lui, cioè un nipote di Filone, il citato Tiberio Alessandro, viene nominato prefetto della Palestina ed è in carica nel biennio 46—48. Nel 63 Tacito lo menziona al seguito di Corbulone, governatore della Siria, in una delle solite guerre contro i Parti. Questo stesso Tiberio Alessandro è nominato governatore dell’Egitto, e Giuseppe Flavio riferisce che Agrippa II (figlio di Agrippa I) si reca ad Alessandria, nel 66, per felicitarsi con lui della nomina. E’ lo stesso che, a capo delle legioni di stanza in egitto, nel 69 fa proclamare imperatore Vespasiano.

Anche Giuseppe ricorda che in Alessandria i rapporti tra i giudei e gli egiziani erano sempre stati pessimi, e precisa che in occasione di disordini gravissimi scoppiati tra i due gruppi fu quello stesso Tiberio Alessandro a reprimere nel sangue la sedizione dei giudei, proprio nell’anno in cui fu fatto governatore (nel 66). Quindi nel giro di venti anni le cose sono mutate a tal punto in Alessandria che la famiglia di Filone, ricca e influente, forse commercianti, forse proprietari terrieri, dal produrre un elemento della delegazione che si reca a Roma a difendere davanti a Caligola le ragioni dei giudei passa a produrre un comandante militare che reprime la sedizione giudaica. Nuovamente si evince uno stretto rapporto tra aristocrazia Erodiana e potere Romano.

Filone lascia intendere che anche al riguardo del problema statua nel tempio l’iniziativa della sua delegazione fallì. Infatti attribuisce il merito di aver convinto Caligola a recedere dai suoi propositi ad Agrippa, a cui fa svolgere il ruolo di difensore della religione, delle tradizione patria e dell’onore ebraico. Non c’è quindi nessun dubbio che parte dei giudei legati alla casa regnante, aperti agli influssi ellenistici, erano sinceramente convinti che la migliore espressione dell’ebraismo moderato e cosmopolito si poteva realizzare all’interno dell’impero, e su questa base avevano fatto i loro conti. La rivolta, la guerra giudaica, non dovette essere una buona novella per costoro.

Ora questa, gli erodiani, è la fazione per cui Paolo lavora quando perseguita i seguaci di Cristo, prima del suo straordinario e molto opportuno incontro sulla via per Damasco. Come si vede i conti tornano perfettamente, nel senso che il cosmopolitismo, il cattolicesimo (=l’universalita’) era ben presente e continua ad essere presente nella politica paolina. Il cristianesimo originale, quello anti erodiano, quello condannato a morte da Pilato, quello associato alla rivolta antiromana, quello riservato agli ebrei, verra’ sconfitto da Paolo. Da Paolo che non ha mai incontrato Gesu’.

Veniamo quindi ai conflitti tra giudei. Svetonio ci informa chel’Imperatore Claudio espulse da Roma dei giudei che causavano disordini a causa di Cristo.

Tuttavia Tacito riferisce che nell’anno 52, quindi sotto Claudio, ci fu in Palestina un intensificarsi dei disordini causati dal conflitto tra giudei e samaritani, e che il prefetto della provincia venne processato per malversazioni inerenti e derivanti dall’avere approfittato dei conflitti locali. Tacito accusa indistintamente due prefetti, Ventidio Cumano e Marco Felice, mentre Giuseppe Flavio dà un’altra versione e un’altra cronologia. Comunque sia entrambi segnalano una ripresa del clima di rivolta, di cui i disordini e i massacri tre le varie etnie della Palestina, ciascuna colla sua specificità religiosa, sono un sintomo.

Pare impensabile che a Roma gli ebrei si scannassero tra di loro a causa di Cristo, e in Palestina ne ignorassero l’esistenza, come sembrerebbe dal resoconto della guerra che fa Giuseppe Flavio. Pare più probabile che una delle varie fazioni di cui Giuseppe parla sia quella dei cristiani, anche se non vengono designati con tale nome, ma sotto il generico e omni inclusivo termine di briganti (lestai, lestes), a non essere che ai cristiani si riferisca quando parla, nelle Antichita Giudaiche, della ‘quarta filosofia’.

Sappiamo poi da Tacito che Nerone perseguitò i cristiani. Si è sempre creduto a Tacito nella sua ricostruzione della persecuzione come capro espiatorio inventato da Nerone per allontanare da se’ l’accusa di avere provocato l’incendio di Roma. Ma la concomitanza temporale con le notizie della disfatta di Cestio Gallo colla legione inviata contro i rivoltosi in Palestina, notizie che come Giuseppe riferisce gettarono Nerone nello sconforto più nero, suggerisce un’altra ipotesi, cioè che la repressione dei giudei cristiani in Roma è una rappresaglia per la sconfitta militare in Palestina. Questo spiegherebbe piu’ logicamente il perchè delle crocefissioni, degli sbranamenti nel circo, e quant’altre orribili cose che Tacito descrive a riprova della crudeltà di Nerone. Si tratterebbe invece di una crudele rappresaglie di chi Nerone sapeva essere ideologicamente associato con i rivoltosi della Palestina, i cristiani di Roma. Rappresaglia identica a quella che Giuseppe riferisce effettuata sui prigionieri giudei dopo la caduta di Gerusalemme: sbranati dalle fiere nel circo, bruciati vivi.

Si è detto che i Romani non distinguevano chiaramente tra ebrei e cristiani fino agli inizi del secondo secolo, e forse fino a dopo la definitiva caduta di Gerusalemme nel 135. In realtà i Romani distinguevano benissimo tra ebrei fedeli a Roma ed ebrei nemici di Roma. Quanto alla versione di Tacito, scritta cinquanta anni dopo gli avvenimenti, in primo luogo per lui la questione ebraica non era così importante come per Giuseppe, in secondo luogo è nota la sua tendenza dissacratoria della famiglia imperiale augustea; il riportare una disfatta militare romana sarebbe stato un giustificare l’azione di Nerone contro il gruppo degli immigrati ebrei a torto o a ragione ritenuti conniventi con la causa irredentista ebraica.

Daltronde non pare credibile che Nerone accusasse i cristiani dell’incendio perchè in quel tempo nessuno a Roma sapeva chi erano i cristiani e pertanto accusare una entità sconosciuta non serviva affatto a stornare i sospetti da sè. Cinquanta anni piu’ tardi, quando Tacito scrive, invece i cristiani erano noti, e una loro persecuzione era credibile. Ma, Tacito a parte, una rappresaglia crudele ed esemplare contro dei provinciali che si erano ribellati all’impero è una ricostruzione ben più logica. E se il loro definirsi cristiani non li inquadrava automaticamente nel movimento antiromano, tuttavia essi erano sufficentemente vicini a tale movimento, a causa della loro avversione al partito erodiano e farisaico, da poter essere usati come esempio della fine che spettava a chi non si dissociasse chiaramente da chi si ribellava al dominio di Roma. Senza contare che se per cristiani allora si intendeva il partito degli zeloti, o comunque una fazione coinvolta nella rivolta in Palestina, e’ piu’ che probabile che tale fazione avesse in fatto appiccato l’incendio, da quei lestai che erano.

E’ proprio dopo le persecuzioni di Nerone che è possibile, direi anzi probabile, che la linea Paolina, che tende a differenziare la propria interpretazione del cristianesimo da quella dei primitivi seguaci di Gesù, si caratterizzi prevalentemente in senso spirituale e teologico abbandonando qualunque rivendicazione sociale. Le repressioni dei romani contro i cristiani che si attengono al primitivo messaggio sociale sarebbero quindi un potente alleato di Paolo e delle sue tesi. Cioè sia l’ebraismo ellenizzante che il cristianesimo universale sopravvivono alla distruzione del tempio e alle repressioni generalizzate degli zeloti e sicari in tutto l’impero, dichiarando in primis la propria fedeltà all’impero, in secundis la propria indifferenza alle cause sociali, politiche e religiose, oltrechè nazionalistiche, della rivolta dei giudei della palestina e dei loro consociati di Alessandria, di Cirene, di Roma e dovunque nell’impero.

Questo spiegherebbe la non canonicità dei libri dei Maccabei per gli ebrei cosidetti della diaspora, anzi più in generale il fatto che gli episodi tra il secondo secolo a.c. e il secondo d.c. vengono preferenzialmente ignorati dai rabbini e dal movimento da loro creato. E’ infatti dedicandosi unicamente alla studio della religione che i Farisei si sottraggono alla repressione. Tutto quanto è nazionalistico e sociale viene prudentemente accantonato, e per numerosi secoli. Del resto nella tradizione si parla del rabbino Ben Zaccai che, sfuggito all’assedio di Gerusalemme, predice a Vespasiano l’impero e ne ottiene il permesso di fondare una Sinagoga a Lamnia. Da questa scuola originerebbe, si dice, tutta la tradizione ebraica moderna. (Non a caso I due secoli in questione sono al centro del dibattito accademico, vedasi p. es. The First Century Judaism Discussion Forum ioudaios-l@Lehigh.EDU, e anche "Gesu Ebreo, di Riccardo Calimani, Rusconi Editore, Milano 1995)

Paolo e la sua chiesa cattolica seguono un’altra strategia: è il colpo di genio di Paolo di fare proseliti tra i Gentili, cosa che che gli rende non necessario distinguersi accuratamente dagli zeloti e sicari. La radice nazionalistica e xenofoba, indispensabile per identificare i nemici di Roma, viene trasfigurata in nome della resurrezione della carne e della universalità (cattolicità) del messaggio di salvezza.

Ma questa ricostruzione non è precisamente sostanziata: per esempio Tacito riporta la data delle persecuzioni ordinate da Nerone nel 64, e purtroppo non ci è pervenuta la parte degli annali dal 65 al 69. Sembra d’altronde che la distruzione delle legione guidata da Cestio Gallo sia avvenuta nel 66. Ci sono quindi due anni di discrepanza.

Tuttavia ci sono elementi che sostanziano la ricostruzione temporale in altro modo: Giuseppe Flavio, nella sua autobiografia, racconta come egli trascorse il 64 e l’inizio del 65 a Roma, come membro di una delegazione che doveva difendere un gruppo di ebrei che Marco Felice aveva inviato al giudizio di Cesare. Sarebbe sorprendente se tra quel gruppo di ebrei non ci fosse anche Paolo, che fu deportato a Roma per essere giudicato da Cesare proprio in quel tempo, e da Marco Felice. Giuseppe dice che costoro erano accusati di cose di poco conto, ma l’invio a Roma testimonia che il prefetto romano li sospettava di attività sovversiva, e tuttavia non si era sentito di esercitare la sua potestà su di essi. E Giuseppe Fiavio corre a difenderli. Argomento da approfondire, se si potesse.

Comunque sia, in tutta la narrazione Giuseppe non fa parola dell’incendio, nè tantomeno delle atroci persecuzioni contro i cristiani descritte cinquanta anni più tardi da Tacito. Questo è francamente inverosimile. E’ invece verosimile che non ne parli perchè non si verifica mentre lui è a Roma. Nella primavera del 65 Giuseppe ritorna a Gerusalemme, trova una situazione molto più tesa, e l’anno successivo sarà coinvolto in prima persona nella guerra contro i Romani. L’anno successivo, il 66, quando Cestio Gallo e la sua legione vengono smazzolati, Nerone ordina a Vespasiano di sedare la rivolta, distruggere Gerusalemme, massacrare gli ebrei nemici di Roma. E comincia a massacrarli dove può, cioè a Roma. Questo e’ piu’ verosimile. Non solo ma altre fonti riportano la cosidetta persecuzione dei cristiani nel 67.

La datazione degli Annali di Tacito, in generale la corrispondenza certa tra il nostro attuale calendario e quello, per esempio, dei Giudei, tenendo conto che gli Esseni e altri gruppi seguivano un computo calendrico diverso da quello ufficiale del Tempio, non appare costante nei secoli. E nel ‘Book of Martyrs’ compilato da Amos Blanchard sul testo analogo di Fox, pubblicato a Buffalo (New York) nel 1848, la persecuzione di Nerone è posta nel 67 d.C.!

Le discrepanze non mancano in altre ricostruzioni: il censimento che avrebbe motivato lo spostamento di Giuseppe e Maria, genitori di Gesù, si verificò nel 6 d.c., per cui la nascita di Gesù dovrebbe essere avvenuta in quell’anno. Pilato fu in carica tra il 26 e il 37, ma Vitellio, governatore di Siria, assunse il mandato nel 35. E pur vero che Vitellio può avere rimandato a Roma Pilato due anni dopo, quando muore Tiberio.

Comunque sia la data della crocefissione dovrebbe essere, secondo la tradizione, trenta o trentatre anni dopo la nascita, quindi nel 36 o nel 39, un anno prima o due anni dopo il termine dei mandato di Pilato.

Ben piu consistente discrepanza esiste sull’anno di nascita di Gesù:

Erode si dice essere morto nel 4 a.C. anno piu anno meno. La storia dei massacro degli innocenti è troppo fasulla per essere presa sul serio, mentre quella dei censimento è un riferimento preciso. Ora il censimento avvenne dopo la destituzione di Archelao, figlio di Erode, intorno all’anno 6 d.C. Infatti in quell’anno il governatore della Siria P. Sulpicio Quirinio ordina un censimente perchè la Giudea è stata ridotta a provincia e si devono calcolare i tributi. Se la nascità di Gesù avviene in concomitanza col censimento, questo si fece nel 6 d.C. e non prima. Se uno poi vuole credere alla storie del massacro degli innocenti, (tragica replica di una simile storia che riguarda Mosè, e pertanto altamente sospetta) bene c’era ancora un Erode in giro: Erode Antipa che governava un pezzo della parte nord della Palestina, e che ambiva a diventare re di tutti i giudei. La ricostruzione che il cristianesimo attuale opera per ovviare a questa grossa discrepanza di date e’ penosamente e palesemente falsa: la chiesa cattolica invoca l’esitenza di un altro censimento. Ora il censimento suddetto avviene a causa della riduzione a status di provincia della Palestina. Le tasse sarebbero state raccolte dal governatore romano invece che dalle autorita’ locali. E’ per questo che Cesare (lo stato romano) ordina il censimento. Il censimento deve quindi essere avvenuto subito dopo la riduzione a provincia della Palestina, all’indomani della destituzione di Archelao, dieci anni dopo (anno piu’ anno meno) la morte di Erode il Grande.

Il 6 d.C., l’anno della destituzione di Archelao e della riduzione a provincia dello status della Palestina, è peraltro un anno cruciale, a sentire Giuseppe Flavio, perchò in quell’anno e a causa dei tributi che Roma voleva imporre, Giuda il galileo fonda la ‘quarta filosofia’, cioè il movimento degli Zeloti, e da inizio, o ridà inizio, alla attività antiromana. Ridà inizio in quanto suo padre Ezechia aveva fatto lo stesso ai -tempi di Pompeo, ed era stato messo a morte da Erode. Il figlio di Giuda il Galileo lo ritroveremo alla guida degli Zeloti a Gerusalemme nel 66. Una famiglia dedicate alla patria, alla religione degli avi, all’onore dello armi. Orbene costoro vengono definiti da Giuseppe Flavio come lestes, cioè briganti, usando lo stesso termine che nei vangeli designa i due crocefissi a lato di Gesù. A cio’ si aggiunga che in documenti trovati nelle solite grotte vicino a Qumran, risalenti al periodo della seconda rivolta, si menziona il termine Galilei in riferimento a qualcuni che dovevano essere trattati come dei fratelli. E’ noto come il termine Galileo sia sinonimo di Gesu’, di cristiano. Sembrerebbe quindi che originali seguaci di Gesu’, il Galileo, fossero ancora attivi intorno al 130, ancora vicini alle tradizioni sociali e politiche del giudaismo anti romano e anti erodiano.

Certo le discrepanze anche dell’ordine di una decina di anni non mancano proprio. Questo per le discrepanza temporali, ma poi ci sono discrepenze logiche vistose: per esempio pressoche tutto il corpus Paolino è caratterizzato da un severo e talvolta angoscioso monito e non farsi traviare da chi predica un diverso Gesù, diverso da quello che predica Paolo. Ma a proposito di Paolo, se è vero come è vero per gli Atti che nel 64 si trovava prigioniero a Roma, perlomeno alcune delle sue lettere, quelle scritte dal carcere, vanno lette con questa situazione in mente: cioè Paolo è prigioniero a Roma perchè sospettato di attività sovversiva antiromana, può scrivere agli amici ma è certo che la censura imperiale legge le sue lettere, e si suppone che lui lo sappia. Questo spiega molto il volersi differenziare dai seguaci di Gesù, fino a definirli lupi rapaci, questo spiega molto il carattere teologale delle missive, tese a evidenziare non ai riceventi ma alla censura imperiale come Paolo non sia affatto interessato alle sorti della patria palestinese e alle opere della legge che la fede ebraica impone, cioè la difesa dei riti tradizionali. Tuttavia quando nel 66 giunge a Roma la notizia della distruzione delle legione, e ben probabile che tutti i prigionieri ebrei sospetti di sovversivismo vengano dati in pasto ai Leoni nel circo, o crocifissi, proprio in quanto cristiani, termine che proprio Paolo ha coniato per definire la sua confraternita.

Bisogna ricordare che nel diritto Romano non esisteva in genere la pena del carcere: la carcerazione era sempre in attesa del giudizio, e il giudizio poteva essere la morte, l’esilio, la confisca dei beni, la riduzione in schiavitù o quant’altro ma non la prigionia, con la possibile eccezione dei colpevoli di attività antiromana. Negli Atti si parla della incarcerazione di Paolo ma non dei suo giudizio. La logica suggerisce che o morì di malattia in attesa di tale giudizio, o fu condannato, o fu assolto. Se fu condannato, certamente fu messo a morte. Se fu assolto, certamente si tenne lontano dalla politica, sopratutto lontano dai seguaci di Gesù.

Ovviamente altre interpretazioni sono possibili: per quanta simpatia si possa avere per coloro che lottano per la propria indipendenza, tuttavia i manoscritti di Qumran dipingono una setta xenofoba, cristallizzato sul formalismo dei rituale ossessivamente rivolto alla purezza fisica dalla contaminazione fisica di cibi o contenitori ritenuti superstiziosamente impuri, dove la condanna a morte per infrazione di queste assurde leggi era comminata senza esitazione. Per cui la nozione di ‘amatevi l’un l’altro’ risulta tragicamente ristretta ai membri della tribù, e quantomai lontana dall’umanitarismo universale. Ne risulta che farisei e cristiani se ne sono allontanati a buon diritto; si intenda : dalla xenofobia e dall’ integralismo o fondamentalismo come oggi lo chiamiamo.

C’è un’altra discrepanza: una discrepanza intellettuale, logica, storica, filosofica: il movimento creato da Paolo si separa dalle concezioni xenofobiche, nazionaliste e revansciste dei giudei della Palestina, per indirizzarsi a tutta l’umanità. Dio è uno solo, per tutti gli uomini e per tutte le razze. Amatevi l’un l’altro, sopportate le offese, pregate Dio.

Ma perchè allora nel giro di pochi decenni, ferma restando la preghiera, i precetti diventano odiatevi l’un l’altro, colpite chi vi offende, sradicate le eresie, distruggete i libri che tramandano falsi insegnamenti, disperdete i nemici della fede? Che cosa non ha funzionato?

Credo che una possibile risposta sia che Paolo, o chi per esso, non ha innovato ma semplicemente ha sostituito. La diversità tribale è divenuta diversità teologale, il nazionalismo è divenuto settarismo, la xenofobia è diventata odio verso le altre religioni. Per Paolo, o chi per esso, la verità è una sola, la vera religione è una sola. Il popolo eletto è divenuto la comunità degli eletti, cioè la chiesa, e al di fuori di quella chiesa non ci può essere salvezza.

In altre parole se si considera la questione della tolleranza, gli zeloti e i cristiani paolini sono caratterizzati dalla medesima cieca furiosa intolleranza. Tutto ciò che è diverso dal loro modo di concepire la realtà è falso, è un prodotto del demonio.

Se il messaggio originario di Gesù fosse stato un insegnamento di tolleranza, se Paolo ne avesse compreso solo superficialmento il significato (l’inutilità delle minuzie del formalismo rituale, la necessaria universalità di Dio), avesse cioè creduto di capire che il suo ‘vero Gesù’ era intollerante verso coloro che predicavano ‘un diverso Gesù’, allora il suo tradimento della causa dei giudei sarebbe nulla a fronte della sua perversione del messaggio di tolleranza. Se cioè il ‘diverso Gesù’ contro cui mette in guardia i suoi proseliti non fosse il re dei giudei liberatore della Palestina, ma il Gesù della tolleranza, contrapposto al Dio degli eserciti, all’implacabile vendicatore, perchè mai la prassi dei cristiani si discosta così radicalmente dalla teoria scritta? Una ovvia risposta è che la teoria sia stata scritta dopo, interpolata di espressioni amorevoli, mentre l’esempio Paolino rimane vivo nella intolleranza verso presunti eretici. Ovvero si dovrebbe ricorrere ad una analisi psicologica comportamentale dei gruppi spirituali legati a un carisma, con la loro eterna tendenza alle dispute su chi è più ortodosso, più vicino alla vera interpretazione, più vicino al carisma. Ma queste sono solo supposizioni e illazioni.

Per altro verso si può supporre un Gesù della tolleranza e del non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te come unica legge, e contestualmente, un Paolo e un Giacomo entrambi volti a strumentalizzare ciascuno il suo ‘vero Gesù’ per il proprio tornaconto? Potrebbe darsi. Ma se così fosse, non solo la xenofobia nazionalista e revanscista degli zeloti sarebbe da condannare, ma anche e con maggior forza e disgusto, la xenofobia teologica della Grande Chiesa, il nazionalismo religioso e non meno revanscista che caratterizza gran parte dei cosidetti cristiani cattolici, e che meglio andrebbero definiti come cristiani paolini.

Come si è osservato nei primi paragrafi di questo libro, esiste un dato ‘strutturale’: l’organizzazione, le modalità organizzative che la Grande Chiesa si da con la gerarchia e la necessità di uniformarsi ad essa nella ritualità e, sopratutto, nella dottrina. Questa triade è la caratteristica fondamentale della Grande Chiesa, e probabilmente spiega in gran parte il successo storico di questo grande partito. Dai documenti che ci sono pervenuti sembra innegabile che il merito di tutto ciò debba essere attribuito, in origine e in larga misura, a Paolo. Nè si può rimproverare a Paolo di avere preso le distanze da un movimento xenofobo, razzista, delirante nel suo fanatismo, assurdo nel suo formalismo rituale: in questo Paolo ha dato prova di una notevole modernità, del prevalere delle ragionevolezza sull’irragionevolezza. Ciò che invece è estremamente contradditorio è che Paolo sostituisce, come si è detto, una irragionevolezza con un’altra irragionevolezza, una assurdità con un’altra assurdità, una follia con un’altra follia. Infatti molte prese di posizione, di Paolo e dei Vangeli ispirati alle sue concezioni, sono chiaramente il risultato di una analisi ragionevole del fanatismo zelotico. Per esempio l’importantissima critica al concetto di cibi impuri, l’affermazione cioè che non quello che entra dalla bocca contamina, perché tutto quello che entra dalla bocca passa poi per il corpo e diventa merda, cioè rifiuto contaminante. E quindi che non è quello che entra nel corpo, ma quello che esce dal corpo che contamina. E quindi non ciò che entra dalla bocca, ma ciò che esce dalla bocca (i.e. le stronzate che uno dice) può contaminare, si intende lo spirito, l’anima, il prossimo. O ancora la critica al riposo assoluto nel giorno del sabato, o la critica al concetto di prossimo limitato ai membri della propria etnia colla parabola del buon samaritano. Insomma una ragionevole e ragionata critica all’assurdità oscena del fanatismo religioso, all’ossessivo formalismo dei riti, blasfemo nella sua rigidità.

In contrasto altre importantissime questioni, Paoline e dei Vangeli, sono più assurde e irragionevoli dell’insieme delle filosofia zelotica, e Paolo rivendica orgogliosamente tale irragionevolezza con uno stesso osceno e blasfemo fanatismo. Così emblematicamente in I Cor. 1,20—21:

"Dov’è il sapiente? Dov’è l’intellettuale? Dov’è il pensatore di questo secolo? Non ha forse Dio resa folle la saggezza di questo mondo? Poichè, infatti, il mondo per mezzo della sapienza di Dio, non ha riconosciuto Dio, piacque a Dio salvare i credenti per mezzo della follia dei messaggio".

Per non parlare poi del dogma delle resurrezione di cui Paolo è l’unico alfiere e che, con sue parole, và creduto proprio perchè è assurdo, scandalo per i giudei, follia per i pagani. E ancora delle ovvia assimilazione della nascita e della morte di Gesù ai miti e alle tradizioni delle antiche religioni mediterranee. Su questa falsificazione si inseriranno poi altre oscenità: l’idiozia della verginità di Maria Vergine prima e dopo il parto, l’idiozia della diatribe se la natura del Cristo sia umana o divina, la cretineria della concezione "una et trina", eccetera, eccetera.

Sopratutto è sconvolgente l’evidenza che i motivi ispiratori dell’attività Paolina possano essere subdoli e ignobili, come per esempio, e già Voltaire lo haveva notato, la sua difesa dopo l’arresto. Poi i tempi e le coincidenza disturbano, per quanto una ricostruzione puramente ipotetica possa far sospettare. Così l’idea che alcune delle lettere di Paolo siano scritte dal carcere avendo in mente che verranno lette dalla censura imperiale, e sapendo che Paolo è in carcere a Roma perchè sospettato di far parte del movimento di rivolta antiromano, cosa che lui intende decisamente rifiutare, apre tutto un diverso modo di interpretazione non solo di alcune affermazioni contenute nelle lettere, ma di tutto il Vangelo di Luca e degli Atti. Si può essere legittimati a pensare che il Vangelo di Luca sia una specie di promemoria difensiva per Paolo in prigione a Roma, in vista del processo. Ma il processo non si farà mai perchè gli avvenimenti della Palestina nel 66 inducono Nerone ad una rappresaglie immediata e crudele, e se la prenderà con quegli ebrei deportati a Rome dal prefetto Felice alcuni anni prima, come ci informano concordemente Giuseppe Flavio e gli Atti, ebrei che si immagina siano sospettati di attività sovversiva contro l’amministrazione imperiale. E già che c’è se la prende con quanti altri ebrei cristiani riesce a reperire a Roma, ammesso e non concesso che sia in grado di distinguere tra i due gruppi, ammesso e non concesso che una distinzione esista.
 
 

La questione dei rapporti tra i seguaci di Gesù e il movimento degli Zeloti, supponendo che tale fosse quello che si va definendo dallo studio dei rotoli dei mar morto, è complessa. Ci sono impressionanti somiglianze accanto a drammatiche e profonde differenze. Tuttavia i rotoli del mar morto sono tali quali erano duemila anni orsono, mentre i Vangeli sono chiaramente stati sottoposti a rimaneggiamenti abbondanti e stratificati. La struttura originaria dei Vangeli, per quanto se ne può desumere da una analisi logica, sembra destinata più a sottolineare differenze più che a enunciare una linea originale. Infatti i Vangeli sono composti non tanto da asserti originali quanto da asserti presentati come una opposizione, correzione e modifica di una dottrina stabilita. Questo aspetto può rappresentare una reale e profonda differenza dottrinale, teologica e pratica, ovvero può essere la strumentale necessità di differenziarsi da un movimento fondamentalista, integralista, fanatico, che andava ad uno scontro che rischiava di distruggere l’intero mondo ebraico. E a riprova di ciò la deliberata soppressione dei testi contro cui i Vangeli polemizzavano, così che tale polemica di per sè testimonia che si tramandava una interpretazione contro un’altra interpretazione!

Tuttavia si rimarrebbe nel campo delle illazioni, par quanto suggestive, se non fosse per la questione delle datazioni. Infatti la questione delle datazioni è quella che inchioda i fatti alla loro successione temporale e testimonia della falsificazione avvenuta. Per questo e’ cosi’ importante rivedere l’analisi dei riferimenti temporali, e ancora una volto a partire dalla nascita di Gesù. Il vangelo di Luca, di cui gli Atti vengono ritenuti la continuazione, inchioda la nascita di Gesù tra il 6 e il 7 d.C. Infatti si esplicitamente afferma che la nascita di Gesù avvenne contestualmente al già citato censimento di Quirino, tra il 6 e il 7 d.C. Come ripetutamente riferito in quel tempo la Giudea è ridotta a provincia essendo stata revocata la potestà reale ad Archelao, figlio di Erode e suo successore dal 4 a.C. al 6 d.C. Quindi i Romani fanno eseguire il censimento al loro governatore per stabilire le imposte ai nuovi sudditi. Il riferimento ad un altro censimento di Quirino è pura fantasia gesuitica, non esiste alcun riscontro e comunque non c’era nessun motivo per ripeterlo. Secondo Luca (e gli Atti) quindi Gesù è nato nel 6-7 d.C. Conseguentemente è morto nel 36-37, o 40 d.C. Come abbiamo visto immediatamente dopo questa data (37 d.C.) il prefetto Pilato viene rimosso e Agrippa, nipote di Erode, viene installato come re di parte della Palestina nuovamente autonoma da Gaio Caligola, confermato ed esteso in tale autorità da Claudio. Agrippa muore nel 44: la sia pur breve descrizione della sua morte negli Atti è un altro dato fondamentale, si sente l’avversione e il disprezzo verso un traditore dalla fede e della religione patria, il sentimento ascetico e fanatico delle vendetta del signore. Basta quindi vedere da che parte stava Agrippa per immaginare da che parte stava il redattore degli Atti, o la sua fonte. Ciò si ricollega al sentimento generale dei "primi cristiani" verso Erode e la sua famiglia: è proprio in questo sentimento che si rinviene l’identità di vedute dei "primi cristiani" con gli zeloti e le altre fazioni antiromane, altrimenti non ci sarebbe nessun motivo di essere avversi, e di tramandare tale avversità, ad Erode e ai suoi discendenti.

Gli avvenimenti descritti dagli Atti presentano alcune datazioni certe, altre correlate obbligatoriamente a avvenimenti non datati ma necessariamente anteriori, o posteriori, ad altri. Così il discorso di tale Gamaliele fà riferimento alla rivolta di tale Teuda, avvenuta tra il 44 e il 46, e alla rivolta di Giuda il Galileo. Orbene, i "successori di Paolo" collocano questo discorso nel 33-36, e in modo aberrante, per la unica ragione di fare tornare le date. Invece esso è la prova, come dal resto l’inizio del vangelo di Luca-Atti precisamente afferma, che c’è stata una deliberata volontà di antedatare di una decina di anni la nascita di Gesù, la sua morte, la conversione di Paolo.

Un altra circostanza è il riferimento, negli Atti, alla Grande Carestia: concordemente questo riferimento viene attribuito alla carestia che si verificò sotto Claudio tra il 44 e il 45. Dopo questo riferimento gli Atti fanno morire Agrippa e fanno partire per ìl primo viaggio Paolo. L’arresto di Paolo è contestuale alla rivolta del "profeta egiziano" (Ben Stada?) che portò quattromila sicari nel deserto: questo avvenimento è databile tra il 52 e il 60, circoscrive quindi l’attività proselitica di Paolo tra dopo la morte di Agrippa e la Grande Carestia (44 d.C.), e subito dopo la rivolta del profeta egiziano. Quindi la predicazione inizia nel 44—45 e finisce nei 52—60.

Da aggiungere che il famoso viaggio a Damasco puo’ essere letto, secondo Eisenman e Wise, in riferimento al cosidetto "Documento di Damasco", cioè Qumran ( i.e. la via per Damasco sarebbe la via per Qumran, cioe’ l’avvicinarsi alla fazione anti erodiana e anti romana). Non saprei quanto questo riferimento sia plausibile, solo Dio sa quanto lo sia, tuttavia anch’esso rinforza la supposizione che la conversione avvenga nel 44-45, piuttosto che dieci anni prima.

Una altra discrepanza, di carattere apparentemente dottrinario e filosofico è quella tra la filosofia di Filone, la sua interpretazione allegorica della Bibbia, e la gnosi. La gnosi influenza o viene poi influenzata dal pensiero di Filone. Basta conoscere la gnosi, e leggere Filone, per rendersene conto. Ma oggi molti vedono negli gnostici i continuatori degli esseni. Ma se gli esseni sono la stessa cosa che gli hassidim, ed è difficile ammettere che non lo siano, assi si trovano insieme ai maccabei, e poi insieme agli zeloti, nelle fazioni nazionaliste, razziste e fanatiche dell’ebraismo. Filone è invece il rappresentante dell’ebraismo filo ellenico, e la sua famiglia è schierata con le aquile imperiali. Questa discrepanza andrebbe studiata, approfondita, per verificarne in prima luogo la reale sussistenza. Come si è visto nei paragrafi precedenti, Paolo di Tarso è considerato un precursore dalla gnosi da taluni gnostici, un tristo ingannatore da altri. Queste discrepanze possono essere risolte sia in un riferimento temporale, sia nella diversa origine di indipendenti correnti gnostiche. Sembrerebbe che in un primo tempo esistano una gnosi paolina e una gnosi ebonita, e che poi gli eredi di Paolo abbandonino la gnosi e rimanga quindi solo quella ebonita, che viene piu tardi dichiarata eretica. Politicamente invece queste discrepanze rimangono e convivono nei secoli dei secoli, cosa che non farà certo meraviglia a noi italiani che ne abbiamo viste, e continuiarno a vederne, ben di peggio anche in recenti anni, per non dire mesi o settimane, e talora giorni ( si intende: di discrepanze che convivono).

Vale la pena di ripetere la sintesi storica ripetutamente fatta: e’ accertato che la dominazione romana in Palestina conobbe un solo periodo tranquillo, quello del regno di Erode il Grande. Questo vecchio marpione seppe inserirsi nelle dispute religiose e politiche uscendone come mediatore e dominatore, oltreche’ come gerente dell’ordine pubblico. Alla sua morte i romani cercano di mantenere lo status quo con Archelao, ma costui non e’ abbastanza in gamba, ed esplode la rivolta sociale e religiosa degli zeloti di Giuda il Galileo. Rimosso Archelao, la Palestina viene posta sotto il diretto controllo militare romano, tra il 6 e il 36. E siccome anche questo non funziona, allora si riprova col nipote di Erode, Agrippa. Sfortunatamente Agrippa muore, e il controllo della provincia è ripreso in mano dall’autorità romana, vuoi perche’ I romani non erano soddisfatti del governo di Agrippa vuoi perche’ non si fidavano del di lui figlio Agrippa II. Ma anche I romani non riescono a controllare la situazione, e la guerra aperta scoppierà nei 66, preceduta tuttavia da continue rivolte (p.es. il menzionato Teuda, il menzionato profeta egiziano con i sicari, i ritirati nel deserto menzionati da Giuseppe Flavio), e terminerà colla distruzione dei tempio nel 70 e la caduta di Masada nel 73 (o 75). Una seconda e a quanto pare più grande rivolta scoppierà nel 132 per concludersi definitivamente nel 135 colla sconfitta di Bar Kochba e la dispersione degli ebrei, ma di queste non abbiamo nessun rendiconto, salvo i recenti reperti paleografici. Da allora in poi la tradizione cristiana o quella rabbinica in una sola cosa concordano: nel prendere le distanze dai rivoltosi, maccabei, esseni, cristiani, sadducei, poveri, santi, eletti, pii che fossero.

Tutte queste radici, la cultura che esse esprimono, hanno o non hanno una relazione determinata con quello che poi la Grande Chiesa è diventata? E’ possibile che tutta una storia di scismi tramandi culturalmente, cioè come eredità culturale in senso sociobiologico, una tradizione di conflitti nell’interpretazione del vero messaggio? Cioe’ che la doppia verita’ sia parte della eredita’ della grande chiesa? o è invece la struttura, la gerarchia e il suo controllo, che sono in gioco? E insieme a cio’ non mi pare possibile che tutto quell’odio che trasuda verso i propagatori di "un diverso Gesù" non abbia lasciato alcuna traccia, di nuovo in senso sociobiologico, come eredita’ culturale.

Di nuovo appare come l’analisi comporamentale dei gruppi umani sia carente, ma un dato di fatto è ben evidente: la struttura psicologica dei fascisti, dei nazisti, dei comunisti, nel loro comportamento sociale e spesso anche individuale, tende a replicare il comportamento dei leaders originari. Se ciò possa resistere ai secoli è arduo poter immaginare, se non in linea teorica. Quello che e’ certo e che il doppio giochismo, la falsificazione e la menzogna sono una costante nella storia delle Grande Chiesa.
 
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