LA VIA DEL SOLE - IL CAPPELLO ROSSO
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Tutta la via del Sole, ricorda Delpaggio, citando in nota Pancrazio Palma, era abitata da tessitori e tintori che per la consuetudine di portare per copricapo un caratteristico berretto rosso, simile al fez turco, diedero origine alla espressione popolare di teste rosse cangiata poi in quella dialettale di coccie rosse e quindi coccie grosse. (57)
Norberto Rozzi, nel trattare dei pannilani (sic) e più precisamente dell'usanza dei tintori di mettere i panni di recente tinti ad asciugare alle finestre utilizzando lunghi bastoni, afferma che: il colore più in uso era il rosso... e che ... i fabbricanti si coprivano il capo con un berretto tinto di rosso, come distintivo dell'arte loro. (58)
Entrambi gli Autori, che hanno largamente attinto da Niccola e Pancrazio Palma, non hanno colto i seri motivi di quel copricapo.
Norberto Rozzi, che scrive di Campli qualche anno prima anticipando di poco la riedizione delle Opere complete di Pancrazio Palma, curata dal pronipote dell'autore (1912), indicando in quel berretto tinto di rosso un distintivo dell'arte loro, si avvicina ma non scopre il vero significato di quella distinzione.
Era si un distintivo, ma non dell'arte loro. Era il segno che gli ebrei erano obbligati a portare, segno che completa i capitoli di prova della loro attiva presenza in Campli.
E' noto che il più drammatico degli espedienti per tenere separati gli ebrei dal grosso della gente cristiana, fu quello di ghettizzarli, ma il più umiliante fu quello di segnarli.
Questo copricapo rosso trova un valido elemento di riscontro residenziale col nome che ancora oggi porta quella parte alta della via del sole chiamata Ricetto, la Giudecca camplese.
La Giudecca, come dice Attilio Milano, fu un espediente volontariamente posto in essere dagli ebrei per raccogliersi in un unico centro della città, munito di cinta ed accessi barricabili, ove essi potevano chiudersi allo scopo di proteggersi da qualsiasi tentativo di attacco.
Nel Ricetto, i tessitori, tintori e mercanti ebrei andarono a collocarsi per scelta propria, non solo per motivi difensivi, ma anche per ragioni di carattere pratico: la via del sole, per la sua felice esposizione, avrebbe favorito le usanze dei tintori di mettere i panni, di recente tinti, ad asciugare alle finestre; la posizione dominante avrebbe consentito un facile avvistamento di pericoli incombenti e l'utilizzo delle vie di fuga per guadagnare rapidamente il sottostante torrente Siccagno e i più sicuri rifugi della non lontana Villa Pagannoni.
Al di fuori di queste considerazioni, la tramandata denominazione del borgo potrebbe apparire riduttiva se intesa come piccolo spazio, ricettacolo; assume, invece, notevole rilevanza se la si intende nel giusto significato antropologico.
In antropogeografia dicesi Ricetto quel raggruppamento medievale di case recinte da mura munite di torri in cui si
raccoglievano gli abitanti della campagna in caso di pericolo. (59) Il Palma ce lo conferma come un luogo fortificato allorché afferma che, ...Secondo la vecchia maniera di guerreggiare, non senza accorgimenti sarebbesi scelto a riparo quel sito (Campli) naturalmente difeso in tutta la sua lunghezza dalle ripe di Fiumicello (Fiumicino) da un canto e del Serchigno (Siccagno) dall'altro. L'arte occorreva soltanto a renderlo di difìcile accesso eziandio dagli altri due fati, al che mi sembra che si provvedesse col dirupare a bella posta anche da quelle parti il piano, lasciando appena due strade frequentabili : e col far dominare queste da due Forti, cioè quella che imbocca da ponente del Ricetto, e l'altra che viene da levante dal Castello. (60) La fortificazione di ponente del resto si intravede nei tratti, quando anche approssimati, della illustrazione allegata al Manoscritto esistente nella Biblioteca Nazionale di Napoli, XI B 42, recanti «le proprietà di Madama Margarita d'Austria». (61)
Da questa illustrazione, Martino Sala azzarda una interpretazione di una delle due strade fortificate e cioè quella che imbocca da ponente del Ricetto.
Parlando di ebrei la memoria corre, però, solo alle giudecche ed ai ghetti.
La Giudecca, è quella universalmente conosciuta come luogo di aggregazione ebraica, che consentiva agli ebrei la conservazione delle proprie usanze, delle proprie memorie e del culto delle proprie origini, e che consentiva altresì lo sviluppo ottimale delle proprie attività.
Cosa diversa il Ghetto, di epoca successiva alla Giudecca, luogo di sofferenza in attuazione di atroci persecuzioni, allorché divennero posti di costrizione, in cui gli ebrei non si chiudevano più dall'interno, ma venivano chiusi dall'esterno.
Il Ricetto è invece una denominazione che sfugge alla concettualità ebraica, essendo ristretta ad alcune realtà contadine piemontesi.
Nella realtà camplese questa denominazione, forse unica riferita agli ebrei nella storia degli insediamenti medievali, diventa sinonimo di Giudecca.
Essa indicava quel raggruppamento di case, moderatamente protetto, della parte superiore della vecchia via del sole, ove gli ebrei andarono a stabilirsi, in posizione dominante e prospiciente i luoghi da dove pare provenissero e dove, verosimilmente, si trovava qualche altro nucleo.
Ma chi erano questi ebrei ed a quale corrente migratoria appartenevano ?
Erano levantini per via di quel copricapo medio orientale ?
Quel fez turco può essere frutto di deformazione nel tempo, raccolta da Delpaggio. Gli altri si limitano a chiamarlo berretto tinto di rosso. Dall'intreccio di queste affermazioni è più probabile desumere che essi portassero il thau che segnava gli ebrei napoletani.
IL RICETTO -nella libera interpretazione di Martino Sala su alcuni elementi della illustrazione del Manoscritto relativo alle proprietà di Margarita d'Austria- (nota 61)
È certo che gli ebrei napoletani aumentarono di numero, dopo la loro cacciata dalla Spagna.
Il riferimento a quel berretto simile al fez ove rispondesse al vero, dimostrerebbe che quegli ebrei potevano essere turchi o slavi, ovvero marrani della diaspora spagnuola. Cosa che comunque non contrasterebbe con l'origine sassone delle storielle su Campli.
Non va sottaciuto che la lingua Yiddish, oltre ad essere un ebraico fortemente tedeschizzato, conteneva anche derivazioni slave, a dimostrazione dell'unione di culture e linguaggi sintesi dall'incontro di comunità diverse, aventi comuni radici religiose.
Va anche rilevato il fatto che, per la furia delle persecuzioni, tra la seconda metà del XIII secolo e la prima metà del XIV; oltre all'ecatombe provocata dalla peste nera, 62 venne a determinarsi un impetuoso deflusso degli ebrei dai valichi tedeschi e francesi, verso il settentrione d'Italia e da qui verso il centro; fra i nuovi arrivati, quei mercanti facoltosi decisi a far fruttare l'accumulo dei loro capitali dandoli a prestito.
Venne cioè a determinarsi quella che Attilio Milano chiama la corrente discendente dei prestatori tedeschi, così come chiama corrente ascendente dei prestatori romani coloro che, sparsi nell'Italia centro meridionale dopo la cacciata dalla Spagna, avevano trovato conveniente esercitare il prestito, spingendosi verso il settentrione. Non solo prestatori romani, ma, probabilmente, anche napoletani a seguito delle varie e controverse prammatiche di espulsione da
IL THAU -particolare riprodotto da Martino Sala tratto da "una famiglia di Giudei" quale risulta da una pala d'altare del XIV Sec. situata in S.Andrea di Mantova. -in Antisemitism- A.History Portrayed, pg.28, Ed.Anne Frank Foundation (Centro Docum.ne Ebraica Contemorane - Milano)
Napoli, tra la seconda metà del XIV secolo e la prima del XV.
Quindi una corrente discendente di ebrei di lingua Yiddish, verosimilmente portatori di quella ironia umoristica sassone, venne a fondersi con la cultura di quegli ebrei che, Centro-Meridione, avevano assunto stabile dimora prevalendo nei traffici commerciali. Traffici capaci di muovere istinti e risentimenti concorrenziali e di calamitare, giocoforza, l'uso della satira denigratoria ed inserirsi in quel giouco dell'ironia, talvolta malevola, tipica di una cultura non
dispersa con il passare dei secoli.
Una cultura che fece dei camplesi gli omologhi dei cittadini di Schilda, probabilmente segnati come gli ebrei di Campli.

Il SEGNO distintivo fu imposto nel 1215, su suggerimento di Papa Innocenzo III, dal quarto Concilio lateranense allo scopo di impedire che l'identità di abito potesse provocare errori in caso di connubio, legittimo o illegittimo, fra cristiani ed infedeli.
Era, tale segno, costituito da pezzi di stoffa tagliati in forma di rotella o di palo, di colore giallo o più raramente rosso, da cucire sugli abiti. Nel napoletano, come è stato ricordato, il contrassegno pare avesse la forma della lettera greca Thau parimenti cucita sugli abiti. Vi è però chi opina che il "Thau" non designasse un contrassegno sugli abiti, ma un berretto tondo e senza visiera di colore speciale, alquanto allargato in alto. (63)
Vi erano delle deroghe o dispense temporanee ...concesse a coloro che dovevano viaggiare, specialmente se lo scopo del viaggio era di visitare per commercio altre città nel periodo delle fiere mentre, quasi ovunque, ne erano esentati gli ebrei levantini.
Cadrebbe, anche per questo, l'ipotesi che gli ebrei di Campli fossero levantini perché portavano dei fez alla turca.

EBREO DI ISTAMBUL - (...Cadrebbe...l'ipotesi che gli ebrei di Campli fossero levantini perché portavano dei fez alla turca) - Un ebreo di Istanbul dipinto su carta, 1618 - cfr. Atlante Storico del Popolo ebraico, Zanichelli Editore, 1995, pag.130.
Più aderente alla realtà camplese è il Thau napoletano di colore rosso, che non rappresentava un' eccezione. Gli ebrei di passaggio a Bologna ...potevano pernottare solo in un albergo a via de' Fusari, il quale inalberava una insegna caratteristica: "Al Cappel Rosso" dal segno che gli ebrei erano obbligati a portare. (64)
Ed il cappello rosso erano obbligati a portare anche gli ebrei di 
Pitigliano, in provincia di Grosseto, una consistente comunità che ha tramandato, fra l'altro, una tradizione dolciaria sorprendentemente simile a quella teramana e camplese. (65)