IL SORRISO DEGLI  EBREI
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Ferruccio Fölkel, che introduce la raccolta di storielle ebraiche, da lui scelte ed annotate, parte dalla Genesi e dai Libri della Sapienza per anticipare considerazioni amare sull'umorismo degli ebrei.
L'affermazione di Sara, costretta ad allattare un figlio non più atteso avuto da un uomo di cento anni è illuminante: «Dio mi ha dato motivo di lieto riso, chiunque lo saprà, sorriderà di me.» (6) Il riso, come stato d'animo, è manifestazione di gioia: quale madre non gioisce per la nascita di un figlio, quando anche non più atteso ? Immediatamente il rovescio della medaglia, la parte in ombra, l'imbarazzante riflessione: chiunque lo saprà, sorriderà di me.
V'è pena, afferma Fölkel, unita ad un'ironia attiva, a uno stato di precoscienza, mentre il riso agisce da schermo e da travestimento, annota dall'Ecclesiaste esplicito nella sua valutazione negativa dell'esistere, critico verso le proposte divine: «Del riso ho detto, follia... » (7)
Il riso è una gioia velata, appena abbozzata per non sprofondare nell'angoscia. E' una maschera degli oppressi e dei derelitti.
Considerazioni negative, molto distanti dalla speranza cristiana, che pure concede poco al riso: ...il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza. (8)
Su queste basi si fonda e si sviluppa l'umorismo ebraico che nasce con la decadenza: Il completamento del Galut, dell'esilio in tutta l'area Mediterranea e nel Medio Oriente, e la perdita di identità attraverso il suo progressivo sfaldamento.
Non è il caso di allargarsi sulle dotte premesse di Fölkel, per approdare all'umorismo ebraico, che nasce prima della Shoah ed abbraccia secoli di storia, di patiti soprusi e di sofferenze morali e materiali.
Gli ebrei emigrano e si espandono nell'area mediterranea, in Oriente, in Europa e danno vita a comunità che conservano intatte le loro tradizioni religiose, attivano commerci e nulla tralasciano per il recupero della perduta identità.
Sembra opportuno, invece, riprendere le sue considerazioni che fanno accostare l'umorismo ebraico del Die Schildbürg
(I cittadini di Schilda) a quello della gente di Campli.
E' un giro lungo, come lungo è stato il loro cammino.
Scrive il Fölkel: Già approdati con alcune avanguardie nell' Europa occidentale, cacciati dalla Spagna e dal Portogallo, alla fine del quindicesimo secolo affrontarono in massa l'est del continente. Una particolare situazione locale li indusse a scegliere i territori polacchi. Di lì si dispersero a raggiera: a nord in Lituania, a est in Bielorussia e in Ucraina, a sud in Galizia, in Bessarabia, in Moldavia.
Da Nazione del Mediterraneo ancorata alla Mesopotamia divennero esseri delle nevi, del ghiaccio, dei cieli lividi.
Subirono, inventarono, trasformarono, ritrasformarono lo Yiddish. Originariamente parlata alto-medio tedesca, arricchitasi in seguito anche di locuzioni e frasi gergali ebraiche e slave, esso divenne, attraverso varie fasi e vari livelli, la lingua della rinascita culturale dopo essere stata la lingua della comunicazione nel quotidiano.
...Prima della Shoah, ai bambini ebrei sparsi nelle varie nazioni d'Europa... venivano raccontate le fiabe di Chelm e dei suoi abitanti sciocchi. Secondo alcuni studiosi, Chelm è una città della leggenda, secondo altri si tratta della città di Chelmo, a oriente di Lublino, oggi quasi al confine russo-polacco... Tuttavia la tradizione ebraico-orientale, la cultura popolare ebraico-polacca o ebraico-russa è stata tramandata e quasi tutta oralmente così come alcune testimonianze scritte vennero distrutte nel periodo della devastazione e dello sterminio nazista. Io scelgo di immaginare che Chelm sia una città della memoria ebraica.
E qui Fölkel aggiunge una notizia che introduce, nel filone dell'umorismo ebraico, la città di Schildbürg. Una notizia esaltante, per chi è andato per anni alla ricerca delle origini delle storielle su Campli, delle motivazioni di rilevanza storica che favorirono il collegamento tra le regioni sassone ed aprutina o meglio tra Schilda e Campli.
Un collegamento non legato alla semplice casualità, ma derivante da uno dei tanti insediamenti ebraici in Abruzzo.
Prosegue Fölkel: ...c'è chi sostiene che i chelmiti fossero simili agli abitanti della città di Schildbürg, in Germania (del resto, nella storia ogni nazione, dai greci in poi, ha una città di 'diversi). Forse più 'diversi' e più 'folli', i Chelmiti si costruivano nella loro imbecillità di meshuge, di sciocchi, giorno dopo giorno, senza arrendersi... imprese subito spazzate via da un colpo di vento. Convinti, però che non ci si debba mai arrendere, essi ricominciavano da capo.
Fu, pare, nel 1597 che alcune notizie sulla città di Schildbiirg furono tradotte nella lingua yiddish fortemente tedeschizzata del tempo; sembra anche che servirono da cartina di tornasole per la stesura delle storielle della città di Chelm a noi pervenute, sia pure attraverso varie manipolazioni del testo originale. (9)